Internet è davvero morto? Tra bot, brain rot e l’illusione della rete artificiale

Risale a poco tempo fa il tweet di Sam Altman, CEO di OpenAI su X che ha riportato in voga la teoria della Dead of Internet (DIT) e ha acceso dibattiti e preoccupazioni attorno al tema del profondo impatto dell’AI sul web. La vicenda si inserisce in un contesto già di per sé acceso e in un clima di diffuso allarmismo attorno a questo hot topic.

Nel tweet in questione, Altman esprime una seria preoccupazione per la crescente ingerenza dei grandi modelli linguistici (LLM) in relazione agli account Twitter (attuale X) e, come prevedibile, la reazione degli utenti a questo tweet non è tardata ad arrivare. Infatti, non sono mancati commenti sarcastici e prese in giro per queste dichiarazioni, considerata proprio la posizione di Altman nel mondo AI e il ruolo da lui ricoperto come padre dei modelli GPT. La frecciatina scagliata a Elon Musk, evidente anche dall’aver fatto riferimento agli account “Twitter” anziché X, gli si è ritorta contro perché il Web, si sa, non perdona e non lascia passare nulla.

Proprio per questo, ho ritenuto giusto riportare alcuni tra i commenti più divertenti degli utenti in questa vicenda. È bene sottolineare che, se fatti con la giusta ironia e la dovuta educazione, spesso ci strappano qualche risata ed è anche questa la parte simpatica di Internet.

Le preoccupazioni sollevate da Altman si inseriscono a valle di numerosi episodi di interazioni e attività non autentiche di bot che si sono verificate recentemente su X.

La proliferazione dei bot sui social sta influenzando negativamente la user experience complessiva e aumentando la percezione degli utenti di un’invasione di contenuti spazzatura online generati dall’AI.

Ma ora ritorniamo alla questione e analizziamo più da vicino la teoria sulla “Morte di Internet”, dalle origini alla sua evoluzione e a quanto c’è di scientificamente comprovato dai dati – perché a noi, i dati, piacciono. La teoria della Dead of Internet è la convinzione che la stragrande maggioranza del traffico Internet, a partire dai post e dalle interazioni degli utenti stessi sia stata sostituita da bot e contenuti generati dall’intelligenza artificiale e che le persone non abbiamo più il controllo nel determinare la direzione nella quale vada Internet perché nel manovrare tutto ciò si inserisce la mano invisibile dei poteri forti. Non sorprende, dunque, che questa teoria presenti tutte le carte in regola per rientrare tra quelle complottiste a tema AI.

La sua nascita viene fatta risalire alla fine del 2010 quando inizia a circolare su 4Chan, ma sembra che si sia consolidata e amplificata nel tempo, in particolare nel 2021 dopo che un lungo post che la descriveva è stato pubblicato su un thread intitolato “Dead Internet Theory: Most Of The Internet Is Fake”.  L’autore di questo thread pubblicato sul forum Agora Road’s Macintosh Cafene non solo rivendica la paternità della teoria ma ci tiene ad andare più a fondo nella questione aggiungendo ulteriori dettagli e esperienze che ne comproverebbero la veridicità.

Questa teoria riflette preoccupazione e una crescente sfiducia su come i progressi tecnologici e gli interessi delle grandi piattaforme stiano trasformando gli spazi online. Se ne evidenzia il declino dell’autenticità online dettato da logiche di mercato che puntano a creare engagement, viralità e dipendenza dal mezzo a discapito della genuinità dei contenuti e della salute mentale degli utenti. I bot vengono spesso utilizzati per gonfiare metriche, come like, condivisioni e commenti, alimentando l’illusione di un vivace coinvolgimento online. Questo fenomeno è pervasivo e ampiamente diffuso su molte piattaforme, tra cui Reddit, YouTube, X, Amazon e si potrebbe continuare all’infinito. Su queste grandi piattaforme si registra un aumento di contenuti ripetitivi, di bassa qualità o simili a spam, spesso attribuibili a generatori basati sull’intelligenza artificiale.

Non sono mancati casi in cui il comportamento coordinato di bot sia stato usato per scopi ben più gravi dello spam, come la diffusione di fake news e computational propaganda in vere e proprie operazioni di disinformazione architettate ad hoc e volte a manipolare il dibattito pubblico. In occasione del referendum sulla Brexit del 2016, studi mostrano come un network cospicuo di account bot abbia amplificato messaggi pro-Brexit nelle settimane che precedevano il voto, per poi sparire nel nulla dopo lo spoglio.  Una ulteriore ricerca pubblicata su EPJ Data Science ha evidenziato la presenza e le strategie di attività coordinata di bot durante le elezioni UK del 2019, analizzando oltre 10 milioni di tweet e mostrando come trattassero discorsi politici polarizzanti e fossero ben inseriti nelle reti di retweet. Inoltre, si sono verificati casi di hate raids su Twitch: attacchi coordinati in tempo reale, spesso orchestrati da bot (e bot-umano combinati), diretti soprattutto verso streamer LGBTQ+ e di colore.

Questi studi mostrano come la percezione delle interferenze dei bot non sia del tutto infondata e come tali fenomeni possano assumere conseguenze più o meno gravi per la società, dallo spam a vere e proprie campagne di disinformazione. Tuttavia, la teoria della Dead Internet resta una visione estrema e distopica, dai toni un po’ nostalgici dell’Internet che fu e con un’estetica alla Matrix. È importante trattarla come tale senza farsi prendere dal panico o dallo spirito catastrofista, mantenendo uno sguardo lucido e scientifico sulla realtà.

Certo, alcuni segnali concreti alimentano questa percezione: il web di oggi appare invaso da contenuti ripetitivi, spesso generati o amplificati da algoritmi e bot, che tendono ad appiattire la varietà dei linguaggi e delle idee, creando flussi di viralità e polarizzazione.

La trasformazione di Internet, da luogo di esplorazione e creatività collettiva a flusso incessante di feed standardizzati, ha contribuito a rafforzare questa illusione di rete artificiale. Pensiamo al fenomeno dei brain rot, prodotto tutto Made in Italy, video brevi e assurdi che spopolano su piattaforme come TikTok che rappresentano in parte l’emblema di questa metamorfosi. Infatti, i brain rot sono clip senza reale valore informativo, pensate per catturare l’attenzione in pochi secondi e che finiscono per riempire lo spazio digitale con stimoli vuoti e omogenei. In questo contesto, la nostalgia per un Internet del passato più autentico si mescola al timore che la rete, anziché ampliare l’immaginario collettivo, lo stia restringendo in un loop di contenuti sempre uguali e privi di autenticità.

Tuttavia, fatta eccezione per i casi più gravi di manipolazione degli utenti verso idee polarizzanti e fuorvianti, potremmo trovarci di fronte a una nuova fase evolutiva di Internet in cui convivono bot e umani e i cui contenuti evolvono verso un’altra forma. I brain rot sono diventati cult tra le nuove generazioni in relativamente poco tempo e, nonostante il loro carattere surreale e nonsense, sono stati accolti e condivisi in modo virale dagli utenti. Abbiamo accolto con spirito dadaista questo nuovo fenomeno che ha a che fare con la nostra cultura e società più di quanto siamo in grado di quantificare. Così come era accaduto con i meme agli albori dei social, anche questi contenuti surreali e ripetitivi generati dall’AI si stanno facendo spazio come un nuovo linguaggio di comunicazione, capace di veicolare messaggi, emozioni e simboli in forme che sfuggono alle categorie tradizionali ma non per questo sono meno validi.

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