L’Italia investe troppo poco nella scuola, e si vede

In queste settimane si è acceso il dibattito in merito alla legge di Bilancio 2025. Martedì 10 dicembre 2024, in commissione Bilancio alla Camera, è iniziata la discussione e valutazione degli emendamenti. Le prossime tappe per l’iter di approvazione prevedono l’analisi dei 250 emendamenti circa, il via libera della commissione, l’approdo in Aula, la votazione e poi il passaggio al Senato, dove l’intero iter sarà ripetuto a partire dalla commissione, ma – a meno di intoppi – con ritmi molto più serrati.

Tra i temi principali su cui verte la legge di bilancio, non poteva mancare quello legato all’istruzione. All’interno del testo della bozza, oltre ai fondi stanziati per il rinnovo dei contratti pubblici (€1.775 milioni per il 2025, €3.550 milioni per il 2026 e €5.550 milioni per il 2027), che quindi riguarderanno anche il personale scolastico, sono previsti ulteriori fondi per specifiche iniziative a favore della scuola e università, di seguito riassunti.

Nuovi fondi?

Art. 19
Viene previsto un incremento per il personale docente di €93,7 milioni in merito al fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, a decorrere dall’anno 2025.
Art. 84.
È istituito un fondo per la valorizzazione del sistema scolastico, con una dotazione di €122 milioni per l’anno 2025, €189 milioni per l’anno 2026 e di €75 milioni annui a decorrere dall’anno 2027.

Art. 85.
La bozza della legge stanzia €60 milioni per estendere l’utilizzo della “Carta dei docenti” anche ai precari con contratti lavorativi di durata annuale.

Tali misure, tuttavia, risultano di importo modesto, soprattutto se si considera che l’Italia risulta essere uno dei 27 Paesi dell’Unione Europea che investe meno risorse in rapporto al PIL nell’istruzione.

La spesa per l’istruzione

Secondo i dati Eurostat nel 2022, infatti, la spesa media UE per tale voce è stata pari al 4,7% del PIL. Con un valore del 4,1%, il nostro Paese si pone agli ultimi posti della classifica, superando esclusivamente Bulgaria (3,9%), Grecia (3,8%), Romania (3,2%) e Irlanda (2,7%). Questo una tabella che indica le relative spese percentuali in relazione al PIL dei singoli paesi europei.

TIME 2022

Più debito che spesa

Ad aggravare lo scenario, il confronto che si può fare tra la spesa per istruzione e quella legata agli interessi sul debito pubblico.
Rispetto al PIL il nostro Paese paga, infatti, gli interessi passivi più alti dell’UE, mentre, come visto in precedenza, gli investimenti sulla scuola sono sotto la media.
Secondo Eurostat, nel 2022, ultimo anno in cui sono disponibili i dati, l’Italia è stato il Paese che ha pagato più interessi sul proprio debito pubblico in percentuale del PIL nell’UE, pari al 4,4%, davanti a Ungheria (3%), Grecia (2,7%) e Spagna (2,4%). La spesa media in interessi sul debito dei 27 Paesi UE è invece molto più bassa, pari all’1,7%.

Paragonando quindi la spesa italiana per gli interessi sul debito (4,4% del PIL) a quella per l’istruzione (4,1%), emerge che il nostro Paese è l’unico tra i 27 Stati UE in cui gli interessi sono superiori alla spesa per l’istruzione. Per fare un esempio, gli altri Stati che spendono tanto in interessi sul debito come Ungheria, Grecia e Spagna investono comunque di più per l’istruzione pubblica (rispettivamente 5,1%, 3,8% e 4,4% del PIL).

Come si vede dal confronto poi, in Italia nel 2022 la spesa annua per gli interessi sul debito pubblico ha superato gli investimenti sulla scuola pubblica dello 0,3%. Un dato non trascurabile se visto nelle cifre assolute, dato che due anni fa lo Stato ha pagato in interessi €83 miliardi, come riportato dall’ultimo Documento di economia e finanza (DEF), il principale documento con cui il governo programma la politica economica.

Insegnanti troppo anziani

La necessità di investimenti nel sistema scolastico e nella stabilizzazione dei contratti dei giovani docenti, si riflette anche dall’analisi anagrafica della popolazione degli insegnanti.

I docenti italiani tendono ad avere un’età avanzata, con il 60% dei docenti della scuola secondaria superiore che hanno 50 anni o più, e ricevono stipendi che sono solo il 69% di quelli di altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria. Ciò pone l’Italia in una situazione di svantaggio per quanto riguarda l’attrattività della professione docente. In media, nell’OCSE, il 40% degli insegnanti ha più di 50 anni, e gli stipendi degli insegnanti variano significativamente, ma generalmente riflettono un rapporto più equo rispetto ad altre professioni con livello di istruzione comparabile.

E quindi che possiamo fare?

Come è emerso dall’analisi appena condotta, la scuola italiana non è in salute. Proprio per questo, l’articolo di oggi ha uno sponsor che punta a migliorarla.
Ci ha supportati infatti ActionAid, un’organizzazione internazionale indipendente che lavora per promuovere e animare spazi di partecipazione democratica ovunque, in Italia e nel mondo, coinvolgendo persone e comunità nella tutela dei propri diritti.

In particolare, l’obiettivo della nostra collaborazione congiunta è provare a cambiare la scuola una firma alla volta. L’obiettivo della campagna di ActionAid e Unione degli Studenti te lo lascio qui:

“Per questo chiediamo un rafforzamento degli spazi e strumenti di partecipazione a scuola, affinché lə studentə abbiano voce e spazio per incidere sulle decisioni che lə riguardano in prima persona in termini di, per esempio, organizzazione della vita scolastica, istruzione integrata e orientamento, didattica e metodi, valutazione, alleanze della scuola con il territorio.”

Insomma, se vuoi aiutare la scuola a cambiare, almeno un pochino, puoi FIRMARE QUI. Ci metti pochi secondi, è gratis, e può solo generare belle cose. Grazie!

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