La plastica è uno dei materiali più duraturi che l’uomo abbia mai creato. Oggi sappiamo che possono volerci centinaia di anni affinché la plastica si degradi e le ricerche dimostrano che è possibile che non si degradi mai del tutto, ma diventi quella che chiamiamo microplastica. L’inquinamento causato da questo materiale è diventato una delle principali sfide ambientali globali del secolo. Gli oceani, ormai, soffrono a causa dell’inquinamento e una delle più grandi problematiche riguarda la presenza incontrollata delle plastiche nelle acque.
Secondo le previsioni degli esperti, la quantità di plastica presente negli oceani raddoppierà nei prossimi 15 anni ed entro il 2050 potrebbe esserci più plastica che pesce nel mare. “Senza un’azione drastica, la plastica potrebbe superare tutti i pesci nell’oceano entro il 2050”, ha avvertito Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, spiegando che “Non possiamo avere un pianeta sano senza un oceano sano”.
Quanta plastica c’è oggi nell’oceano, e quanta ce ne sarà in futuro?
I rifiuti di plastica costituiscono l’80% di tutto l’inquinamento marino e circa 8-10 milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno nell’oceano. Negli ultimi dieci anni, abbiamo prodotto più prodotti in plastica rispetto al secolo precedente. L’EPA, (Environmental Protecion Agency), ha affermato che il 100% della plastica prodotta dagli esseri umani è ancora esistente, e presente nell’oceano. Quest’ultima, generalmente, richiede tra cinquecento e mille anni per degradarsi, ma quando arriva in quella fase, diventa microplastica, senza essere completamente degradata. Attualmente, ci sono circa 50-75 trilioni di pezzi di plastica e microplastiche negli oceani. Secondo gli scienziati, sui fondali è presente più del doppio della quantità di plastica rispetto a quella presente sulla superficie dell’acqua.
I risultati mostrano, inoltre, che la quantità di microplastiche nei sedimenti è venticinque volte superiore a quanto si pensava in precedenza. Ci sono gigantesche isole di plastica che galleggiano sulla superficie dell’oceano e le spiagge di tutto il mondo sono sempre più disseminate di rifiuti di plastica, anche nell’Artico. A oggi sono oltre 170.000 miliardi i frammenti di plastica che galleggiano in superficie – per un peso complessivo di 2,3 milioni di tonnellate – e la velocità con cui vengono immessi in acqua è destinata quasi a triplicare entro il 2040. Il report del World Economic Forum prevede che gli oceani contengano almeno 937 milioni di tonnellate di plastica e 895 milioni di tonnellate di pesce entro il 2050. Parte del motivo è che l’uso della plastica è aumentato di 20 volte negli ultimi 50 anni, e sta continuando a salire.
Da dove arriva la plastica presente negli oceani?
La maggior parte dell’inquinamento da plastica negli oceani è causato dai rifiuti: usiamo oggetti di plastica monouso (sacchetti di plastica, bottiglie, ecc.) e non li smaltiamo correttamente. I rifiuti sono così condotti nei corsi d’acqua e infine nell’oceano. Un dato importante arriva dal Parlamento Europeo, secondo cui circa l’80% della plastica presente negli oceani proviene dai fiumi e dalle coste, mentre il restante 20% circa proviene da reti da pesca, funi e imbarcazioni. I principali oggetti che provocano inquinamento nell’oceano sono:
- le borse di plastica (14,1%)
- bottiglie di plastica (11,9%)
- contenitori di cibo (9,4%)
Perciò, la maggior parte della plastica che troviamo nell’oceano proviene dalla terraferma: scorre a valle attraverso i fiumi fino al mare. In un primo momento può rimanere in acque costiere, ma può presto essere raccolta da correnti oceaniche rotanti, chiamate circonvallazioni, e trasportata ovunque nel mondo.
https://www.statista.com/chart/25056/waste-items-polluting-oceans/
Le conseguenze della presenza di plastica sui pesci
L’inquinamento da plastica può alterare gli habitat e i processi naturali, riducendo la capacità degli ecosistemi di adattarsi ai cambiamenti climatici, influenzando direttamente i mezzi di sussistenza delle persone, le capacità di produzione alimentare e il benessere sociale. Inoltre, la plastica negli oceani ha un impatto devastante sulla vita marina e sugli ecosistemi.
Il più evidente è il danno che gli oggetti di plastica causano agli animali quando vengono questi ne vengono a contatto o arrivano a ingerirli. Il 90% degli uccelli marini ha nel proprio stomaco della plastica e metà delle tartarughe marine ha ingerito plastica. Inoltre, l’inquinamento sta contribuendo alla distruzione delle barriere coralline.
Le microplastiche, che si formano dopo la rottura di un pezzo di plastica, vengono spesso inghiottite dai pesci e da altre creature marine, finendo poi nei nostri piatti. Queste particelle sono ormai diventate parte della catena alimentare e sono state trovate ovunque: nell’acqua potabile, nel sale, nella birra e nel terreno dove coltiviamo le nostre verdure. Un altro pericolo, legato a tale fenomeno, è dato dai contaminanti tossici che spesso si accumulano sulla superficie della plastica e vengono poi trasferiti all’uomo attraverso il consumo di pesce.
Soluzioni per evitare il peggio?
Le soluzioni principali per ridurre tale problema sono:
- Ridurre l’utilizzo di plastiche monouso: le plastiche monouso includono sacchetti di plastica, bottiglie d’acqua, contenitori da asporto e qualsiasi altro oggetto di plastica che viene utilizzato una volta e poi scartato. Il modo migliore per farlo è acquistare versioni riutilizzabili di tali prodotti
- Riciclare: quando si utilizzano plastiche monouso, si deve ricordare che possono essere riciclate. Attualmente solo il 9% della plastica viene riciclata in tutto il mondo.
- Raccogliere rifiuti di plastica dai fiumi
- Applicare piani di azione nazionali ambiziosi ed efficaci sulla prevenzione, oltre al controllo e alla rimozione delle plastiche nell’ambiente.
Il Trattato storico Onu per la protezione degli oceani:
A marzo 2022 gli Stati membri dell’ONU hanno trovato un accordo per la protezione degli oceani. Quest’ultimo intende proteggere l’Alto mare, ossia quelle acque che si trovano oltre 200 miglia nautiche (370 km) dalle coste che non ricadono nelle giurisdizioni nazionali. In particolare, l’accordo prevede nelle suddette aree vengano fissati limiti alla pesca, al transito delle navi e alle attività di esplorazione per proteggere gli esseri viventi presenti. Tutto ciò con l’obiettivo di diminuire gradualmente la presenza di plastica nelle acque marine. Il trattato fa riferimento all’Alto mare, un’area che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE), e che occupa i due terzi dell’oceano.


